-quindi vuoi dire che non andremo mai a vivere insieme? che non vuoi venire a vivere con me?
-no, ho bisogno del mio spazio
-faccio finta di non aver sentito questa risposta perché secondo me ci vuoi pensare
non vuoi nemmeno prendere in considerazione l’idea di un posto condiviso con uno spazio tuo, ti ho detto che a me una vita uno da una parte e l’altro dall’altra non è accettabile, se a te va bene a me no. Vuoi il tuo rifugio, per rifugiarti da cosa, da me?
già.. sono ancora io che non capisco i tuoi bisogni. Lo stai dicendo a quella che si fa in 100 per mettersi sempre nei panni altrui anche quando non parlano, anche quando è il silenzio a regnare, peccato che la palla di cristallo non la abbia, dici a quella che da tre anni in terapia, con terapeute diverse si sente ripetere “finiscila di mettere i bisogni degli altri davanti ai tuoi”, oppure… “si, ma cosa vuole A?”, “si… ma torna a te, cosa vuoi te?”, “ok , ma…tu? cosa vuoi TU?”
e per te io sono quella che non tiene mai conto delle esigenze degli altri…
Ti ho detto che ogni volta che ti pongo una domanda me la riversi addosso e la ribalti come una mia responsabilità, mi hai risposto “si, perché quello che penso e quello di cui ho bisogno io, per te non conta un cazzo.”
già, me ne parlassi di quello che pensi forse sarebbe più semplice ed invece no, gioco a mosca cieca in autostrada cosi te non vedi i bisogni miei e io non colgo i tuoi a quanto pare. che poi uno dei tuoi bisogni essenziali sarebbe il tempo di fare le tue cose senza nessuno che ti gira costantemente in mezzo ai coglioni come mi hai detto stasera. ma come pensi che possa sentirmi io? la rompicoglioni di turno ecco cosa mi sento, voler condividere tempo con te a questo mi porta, ad essere la rompicoglioni sempre intorno.
Hai detto che ti senti controllato, sai non sempre ogni domanda ha un doppio fine, si chiama comunicare, condividere, io non so cosa ti sia successo in passato, che infanzia tu abbia avuto che traumi profondi che coinvolgono la sensazione di essere controllato ti porti addosso , ma ti assicuro che non tutto è finalizzato a quello. Quando sono andata al mare con la bimba che nemmeno mi hai chiesto se ero arrivata, io l’ho vissuto come mero disinteresse, non come evviva mi lascia libera… forse se facessi cosi con te pure io lo capiresti, ma come ti ho detto mi chiedo perché dovermi comportare cosi solo per farti il dispettuccio o per farti capire.
Si chiama empatia, mettersi nei panni dell’altro.
Io sento solo un grosso bisogno di fuga da parte tua, ultimamente disinteresse nei miei confronti, sotto tutti gli aspetti, di condivisione, fisico, ti sento lontano mille miglia e poco interessato. Hai mille pensieri che però tieni chiusi in quella scatola a chiusura ermetica che è la tua testa e non mi rendi partecipe. Quest’indifferenza mi accoltella dentro e non ce la faccio più a tacere e restare in questo silenzio doloroso.
A cosa ti serve rifugiarti da me, da noi , quella cosa che hai chiamato famiglia. Allora il mio sentore di darti fastidio è reale, non solo nella mia testa se senti il bisogno di allontanarmi per stare meglio.
Ti ho detto che è da aprile che mi hai detto che non vuoi figli e che non abbiamo mai più toccato l’argomento e che ogni volta che entro in casa e vedo il legno di mare con la famiglia che volevi , che hai detto di volere, con quei tre pallini … mi viene solo voglia di buttarla via , mi hai risposto fallo. L’ho fatto, mi sono alzata dallo sgabello della cucina, l’ho preso, ho spaccato tutti i sassolini incollati con cura e amore e ho gettato tutto nel bidone. “Poi mi vieni a dire che vuoi me la bambina dei figli la famiglia”, di tutta risposta te ne sei andato in sala.
Pensavo avresti preso la porta conoscendoti. Non l’hai fatto ed a questo do un significato, chissà se anche questo è frutto della mia fantasia o c’è davvero. Dopo sei restato rigido come quel legnetto buttato, anche quando ho provato ad avvicinarmi, ti sei scostato, mi hai fatta sentire rifiutata ancora una volta.
Finisco sempre per sentirmi un rifiuto, qualcosa di troppo, qualcosa di sbagliato.
Ed il problema, è che tu dici di sentire di non contare niente, di non sentirti abbastanza preso in considerazione riguardo ai tuoi bisogni.
Ed alla fine ci sentiamo di merda entrambi.
Ora tu sarai a casa a dormire suppongo, davanti alla tua grande tv, su quello scomodo minidivano che non sei disposto a cambiare per aggiungere un posto accanto a te, ne avevamo parlato ma poi non abbiamo concluso nulla, ed il divano resta ad un solo posto. un posto solo tuo, dove io mi sento di troppo, d’ingombro.
Io sono a lavoro e tra un monitoraggio e l’altro mi sono messa a scrivere, perché da sempre è ciò che placa leggermente i miei pensieri quando mi pare di avere la testa in uno stramaledetto frullatore. Poi se lo leggerai… non lo so.
E mi domando come comportarmi domani, se stare a casa da me, se venire da te, se lasciarti questo tanto agognato spazio e silenzio per “piantare un chiodo senza nessuno che ti gira intorno” e sentirci se ti ricorderai di chiamarmi martedì dopo l’esame, e poi vederci per andare in vacanza… la vacanza.. già.. quanto l’ho aspettata.. ed alla fine partiamo cosi? chissà cosa porterà. come le placo tutte queste domande. come fermo i pensieri intrusivi. come faccio a non pensare a tutto questo costantemente nel silenzio del nucleo, con qualcuno che si gira nel letto di tanto in tanto, il suono della cpap, qualche campanello per andare in bagno. ed io con la testa che dentro sembra un gomitolo, con cui ha giocato per 6 ore un gatto. cucciolo. vivace.
E mi domando…come sarà domani.
E mi domando, cosa ne sarà di noi.
E mi domando quale sia la tua scelta, noi o il tuo rifugio.
E mi domando che senso abbia non vivere le cose, avere paura di mettersi in gioco.
E mi domando…cosa mi dirai.
E mi domando cosa significo io per te.